Ditta S. V. – N.

Dicembre 2018 – Gennaio 2019.

Premessa

Domenica 30 Dicembre 2018, doveva essere una mattina di semplice ricognizione. La prima meta era ovviamente quella più interessante. Da Google Maps non avevo la certezza che si trattasse effettivamente di un luogo abbandonato. C’erano sì, molti elementi che facevano pensare ad un’area non più utilizzata ma il buono stato di conservazione degli edifici mi lasciava dei dubbi. Inoltre l’area è confinante (collegata, per la verità) ad un’altra area industriale in uso, con capannoni e strade popolate di persone e veicoli. Ovviamente non avevo la minima idea se si riuscisse ad entrare e toccava a me scoprirlo.

Esplorazione

Parcheggio l’auto a ridosso delle case più vicine e mi avvicino a un ingresso laterale. Ho fatto un po’ tardi, sono quasi le 8 e la luce è già troppa per i miei gusti. Il cancello e l’inferriata che bloccano l’accesso sono alti e massicci, sormontati da tanti puntiti speroni. Abbandono subito l’idea dello scavalco dopo aver sentito con le dita proprio quanto siano acuminati gli spuntoni metallici. C’è un edificio che inizia fuori dalla recinzione e continua all’interno: una finestra a piano terra ha una persiana che è stata parzialmente divelta, lasciando un pertugio per entrare. Con molta probabilità procedendo attraverso l’edificio si riuscirebbe ad accedere all’area ma ho l’impressione sia la via d’accesso di qualche abitante clandestino e non ho voglia di fare un incontro del genere in uno spazio chiuso e buio. Arretro un po’ fino a che non costeggio un parcheggio abbandonato, diviso dall’area da un’altra rete, ma qui vedo un facile accesso e decido di provarci. Dò una rapida occhiata in giro, non c’è nessuno che mi possa vedere, così mi introduco nel parcheggio, addentrandomi alla ricerca di un ulteriore varco che mi conduca alla meta. Questo parcheggio è simile a quello del Villaggio Operaio T. esplorato nel 2006, con lunghe tettoie per riparare dalle intemperie auto, moto e bici. Chissà quante vecchie glorie sono state parcheggiate qui: 500, 600, Lancia, Alfa Romeo… Il suolo è coperto di edera strisciante, qualche rovo e la solita immondizia. Arrivo nell’angolo più lontano e nascosto e finalmente trovo il mio passaggio. Faccio due passi e mi trovo davanti i campi di bocce. Ovviamente sono pieni di piante e alberelli, ma ci sono ancora i segnapunti, i bordi di legno e le panchine. Subito adiacenti vedo i due campi da tennis, uno dei quali coperto. La brina del mattino colora ancora di bianco l’erba e la rete sgualcita del campo di gioco all’aperto. Quello coperto invece è in terra rossa ed è riparato da una struttura con intelaiatura ad archi in legno, veramente bella. Ci sono ancora il rullo per sistemare il campo e la sedia alta dell’arbitro. Scatto qualche foto poi passo alla ricerca di un altro varco in quanto l’area sport è divisa a sua volta da quella vera e propria dell’azienda.

Trovo finalmente un altro varco ed eccomi vicino agli edifici. Su quello alla mia sinistra vedo un riflettore alogeno acceso e di fianco una telecamera puntata sulla piazza antistante. Non è tanto la telecamera, che potrebbe essere in disuso come il resto, quanto il fatto che il riflettore funzioni, a mettermi in allerta. Rimango vicino alla recinzione dei campi da tennis e procedo tra le piante, fuori dalla visuale della telecamera, fino a raggiungere un altro edificio più piccolo. I portoncini di legno sono visibilmente ben chiusi. Costeggio l’edificio ritrovandomi sotto ad un portico con dei bellissimi archi. Di fronte a me la piazza, con tutti i lampioncini e la grande fontana centrale. Dall’altra parte il grande edificio a ferro di cavallo, a destra una palazzina bassa che funge da ingresso all’area retrostante, quella produttiva. Attraverso la piazza, la telecamera è abbastanza lontana. Vedo che anche gli ingressi del palazzo a ferro di cavallo sono ben chiusi, così proseguo sulla destra, costeggiandolo. Dietro l’angolo del fabbricato le linee della pavimentazione della piazza convergono verso una doppia scalinata che scende a un livello inferiore; l’accesso alla scala è incorniciato da due fontane in stile razionalista ai lati. Nelle vasche è cresciuta la vegetazione che le ha trasformate in vasi per piante. Decido di non scendere ma continuo il giro della piazza, arrivando al varco citato prima. Un’imponente cancellata divide l’arco formato dalla palazzina che sovrasta il passaggio. Dei lampioncini riccamente e finemente decorati impreziosiscono l’ingresso. Amo questi dettagli! Quando sono così ben conservati, poi!

Attraverso il varco; oltre altre aiuole, di fronte a me un’altra palazzina bassa, a destra un cancello che divide l’area con un’altra ditta sempre dismessa ma – pare – ben più moderna. Lungo la palazzina appena attraversata, sulla destra c’è la timbratrice d’ingresso e uscita con i porta-cartellini dei dipendenti. Tutti gli ingressi sembrano sigillati. Alle mie spalle, fa capolino il fabbricato della produzione, nel consueto stile mattoni a vista, ma in questo caso spicca anche un grande orologio sulla facciata che mi ricorda le scuole che si vedevano nei cartoni animati giapponesi degli anni 80.

Con molta circospezione attraverso la piazzetta e mi avvicino al fabbricato. Quasi tutti i varchi sono chiusi da reti arancioni da cantiere, ma alla fine trovo un accesso ed entro in un grandissimo capannone con tetto a shed. La luce non è molta, ma in fondo, dove entra dai lucernari, illumina le colonne tinte di blu creando una bellissima atmosfera color cobalto. È tutto vuoto, tubazioni e cavi sono stati rimossi, solo i cartelli sui muri resistono. L’ambiente rimane comunque affascinante ed ha molto da raccontare. Attraverso una stanza dai muri per metà verdini, adibita pare a stoccaggio olii esausti e poi vedo una porta da cui si intravede una luce blu molto promettente. Al di là della soglia c’è un corridoio completamente tinto di blu ma non so se a causa del trattamento per l’amianto, perché dal pavimento a circa un metro di altezza il muro è verde, sovrastato da una striscia bianca. I lucernari sul soffitto illuminano le pareti, creando uno spettacolo stupendo.

Percorro questo favoloso corridoio e raggiungo degli uffici: c’è piuttosto confusione, dovuta soprattutto al controsoffitto caduto in più punti. Gli oggetti sono sparsi un po’ ovunque. Negli armadi raccoglitori e documenti, sulle scrivanie campioni delle lavorazioni, una vecchia bilancia da laboratorio, qualche strumento di misurazione. E poi sedie da ufficio, vecchi computer e fotocopiatrici. Seppur ricchi di oggetti non sono ambienti molto fotografabili, troppa confusione e stile piuttosto moderno e anonimo. Le finestre, al piano terra, si affacciano sui capannoni in uso della ditta retrostante, sulla strada di fronte ci sono bancali pieni di attrezzature. Se passasse qualcuno sarei senz’altro visto. Abbandono gli uffici e termino la visita del piano terra del fabbricato, esplorando altri stanzoni vuoti. Ad un certo punto sento un’auto passare a velocità sostenuta sulla strada che costeggia l’edificio, la conferma che l’area è in uso, se non addirittura vigilata.

Torno all’esterno e percorro il viale verso Sud; all’angolo con un altro viale Ovest-Est c’è un’altra sezione dello stesso edificio in cui mi trovavo, sventrata: è stato rimosso il pavimento dei primi due piani e si vedono dal basso le porte che si affacciano nel vuoto. Mi sto riallontanando in direzione Est quando sento di nuovo il rumore di un motore; rientro alla svelta e furtivamente nell’edificio, pronto a nascondermi ma non sento più niente, pare non venissero dalla mia parte. Torno sul viale, mi allontano dalla zona, troppo pericolosa e procedo con circospezione di nuovo verso Est, stando sui bordi della strada per essere meno visibile. Quando attraverso vedo in lontananza i fari accesi di un’auto. Sono ormai dietro un altro fabbricato, quindi per il momento in salvo. Ritorno verso Ovest nella strada parallela la precedente, in mezzo a due fabbricati chiusi. Quello a destra sembra essere la mensa e dai vetri giudico essere completamente vuoto. Il capannone lungo e stretto di sinistra invece risulta essere l’archivio storico della ditta: scaffali e scaffali pieni di raccoglitori di documenti storici. Su alcuni si legge: Contabilità Industriale 1940, Stabilimenti e Costi 1939, altri raccoglitori sono del 1936… Insomma un vero e proprio tesoro storico. Proseguo ulteriormente ma questa volta sento proprio delle voci di persone. Intravvedo un’auto parcheggiata, non della vigilanza, ma comunque penso sia meglio tornare sui miei passi alla svelta. Riesco a tornare in una posizione “sicura”, quindi raggiungo nuovamente le due fontane ornamentali, scendo la scala e sulla scala di ingresso di una delle palazzine mi fermo a riposare un attimo mangiando qualcosa. Il clima nel frattempo è totalmente cambiato: un forte vento tiepido soffia tra gli alberi, la temperatura è salita di 15 gradi in pochissimo tempo. Io sono vestito per resistere ore all’aperto con temperature prossime allo 0, quindi ho proprio caldo. Mi rialzo, la porta di ingresso della palazzina è automatica, a scorrimento, ed è chiusa. Sopra di me una telecamera è puntata verso l’edificio di fronte, che sembra essere una cabina elettrica. Scendo la scala opposta e trovo un insperato accesso al piano -1 dell’edificio. Entro, è piuttosto buio così estraggo la torcia e inizio ad esplorare.

Il piano interrato è poco interessante, buio e arredi ammassati. Trovo una porta che mi conduce alla tromba delle scale. Il vento all’esterno produce diversi rumori, complici anche le finestre lasciate aperte. Salgo al piano rialzato e mi ritrovo esattamente dall’altra parte della porta scorrevole vista pochi minuti prima. Un pianerottolo con una piccola area reception divide le due ali della palazzina, composta essenzialmente da un lungo corridoio su cui si affacciano vari uffici. Le porte a vetri riportano ancora i loghi delle diverse società del gruppo che lavoravano qui. La maggior parte degli uffici sono vuoti o sono riempiti di arredi accatastati per un trasloco: scrivanie, sedie, attaccapanni, ecc. Ma in uno degli uffici trovo uno schedario per disegni tecnici che contiene ancora le piantine catastali di tutti gli stabilimenti italiani della società. Alle estremità dei corridoi ci sono i locali di servizio con gli armadi per gli switch di rete e per la telefonia. Proseguo la salita e mi godo la vista sul complesso dalle finestre del primo e poi del secondo piano. Gli uffici sono sempre vuoti, tranne qualche lavagna luminosa, cassettiere e altri arredi poco interessanti. Terminata la visita, ridiscendo le scale e ripercorro la strada dell’andata che mi riporta all’esterno. Decido di tentare l’accesso alla palazzina a ferro di cavallo; osservo dal basso la telecamera che mi inquadrerebbe senz’altro, l’istinto mi dice che non è in funzione, così mi incammino. Arrivato nel cortile della palazzina non odo nulla di strano e guadagno l’accesso all’interno più facilmente del previsto.

Superata una porta mi ritrovo in una hall molto elegante, con pareti rivestite di marmo bianco e verde, a righe. Oltre l’accesso alle scale, ecco la reception della sede della direzione: una grandissima parete vetrata scherma un lungo tavolo con base e alzata in marmo uguale a quello delle pareti. Nella reception ci sono ancora le cassettiere in legno, i telefoni del centralino, una tastiera da pc. Cerco di immaginare l’eleganza di quando tutto era in funzione, pulito e in ordine. Inizio ad esplorare le due ali della palazzina, dal piano terra a salire. Ad una delle estremità trovo l’ufficio CED, con il caratteristico pavimento galleggiante parzialmente smontato, scrivanie ricoperte da scatole di vecchi software, manuali, floppy disk, cavi di rete, monitor, switch e vecchi server abbandonati alla rinfusa. In una scatola ci sono delle confezioni di vecchi cercapersone ancora marchiati Sip. Anche questa palazzina è piuttosto vuota; nei primi due piani trovo sale riunioni e uffici deserti. Nei corridoi ci sono dei begli orologi elettrici di quelli con i numeri a palette, tipo tabellone aeroporto, ma niente più. Più interessante invece il terzo piano, che doveva ospitare gli uffici dei personaggi più importanti dell’azienda. Il pavimento è in parquet e lungo tutti i corridoi ci sono delle passatoie. In un ufficio c’è un tavolo rotondo coperto interamente da documenti e da certificati azionari; sul pavimento scatoloni pieni di altri documenti e azioni, così come sparsi sul pavimento. I documenti che ho visto sono degli anni 50/60. Sembra che qualcuno vi abbia frugato, alcuni sono strappati. Di certo non hanno alcun valore, altrimenti non sarebbero rimasti lì. Ridiscendo di un piano per uscire sulla terrazza che si affaccia sulla piazza sottostante e scatto un po’ di foto al panorama.

Siccome avevo preventivato solo la mattina a disposizione per l’esplorazione, scendo ed esco dalla palazzina, iniziando a dirigermi verso il punto di ingresso. Mi fermo in mezzo alla piazza per scattare alcune foto alla fontana. Poi, decido di passare davanti alle “villette” lunghe per vedere se c’è una possibilità di entrare. La prima è ben chiusa, mentre la seconda invita all’ingresso… Entro e al pian terreno non trovo nulla di interessante: arredi da ufficio accatastati e nulla più. Salgo la scala e mi trovo in uno stanzone con tante scrivanie tutte allineate, doveva essere un ufficio. La luce non è molta e non c’è molto da immortalare. Vedo in fondo allo stanzone e prima, sulla parete di sinistra, due porte. L’accesso è parzialmente sbarrato dalle plafoniere cadute dal soffitto; dato che è tardi, decido che non voglio perdere altro tempo con delle stanze vuote, quindi mi appresto a ridiscendere la scala. Ma un tarlo mi rode il cervello… penso che se ho fatto 30 posso anche fare 31, quindi scavalco con attenzione la plafoniera ed entro nella stanza. Stupore! Il pavimento è letteralmente cosparso di coppe e trofei! Su un armadio, altre coppe, sul davanzale della finestra, targhe commemorative. A terra c’è anche un borsone sportivo e una canottiera Adidas con il logo dell’azienda! In fondo alla stanza, appoggiato al muro c’è un cartello da parata con il nome del reparto sportivo dell’azienda. Non c’è molto spazio ma scatto diverse foto di quell’ambiente particolare.

Quindi proseguo fino all’altra stanza, che risulta essere l’ufficio “Gruppo Sportivo”. Questo ufficio contiene due scrivanie e trovo altri trofei, coppe, riviste e libri sull’atletica, numeri di gara… insomma capisco che l’aspetto “sport” aveva una grande importanza all’interno della ditta. Scatto le ultime foto poi mi avvio veramente all’uscita.

Dopo un paio di giorni mi metto alla ricerca di maggiori informazioni sull’azienda visitata e trovo delle foto d’epoca nonché dei filmati dell’istituto Luce. Mi rendo conto di aver saltato un edificio potenzialmente “bomba”, ossia il centro ricerche. Dalle informazioni trovate, all’interno c’erano laboratori chimici e persino una biblioteca tecnica. Ci sarà ancora qualcosa? Non posso vivere con questo dubbio e mi prefiggo di tornare un’altra mattina con l’obiettivo principale di entrare in questo edificio, nonostante le telecamere…

A due settimane di distanza rieccomi di nuovo all’alba di una domenica invernale a penetrare nell’area, questa volta sapendo già la strada da intraprendere. Sembra tutto molto tranquillo, e raggiungo l’edificio dal retro, iniziando a cercare un punto di ingresso. Tutti gli accessi sono chiusi e nella maggior parte dei casi sprangati dall’interno. Faccio tutto il giro con circospezione e cercando di rimanere fuori dal campo visivo delle telecamere, di cui ancora non sono sicuro del funzionamento. Salgo sulle scale di emergenza esterne e ne approfitto per fotografare la piazza dall’alto, illuminata dal sole che sorge.

Alla fine trovo un accesso che qualcuno ha creato prima di me, con molti meno scrupoli… quindi con un po’ di contorsionismo riesco ad entrare nel piano seminterrato. È piuttosto buio, accendo la torcia e inizio ad esplorare. Le stanze sono più che altro locali tecnici, caldaie, impianti di climatizzazione, depositi di materiale informatico (cumuli di vecchie stampanti, monitor, toner, pc, ecc.). Ci sono anche un paio di aule dove si tenevano corsi di lingue, c’è qualche libro e qualche audiocassetta. Mi prefiggo di tornare quaggiù alla fine per fare un paio di foto (in realtà non lo farò). Terminata velocemente la ricognizione del piano sotterraneo cerco le scale per salire. Amara sorpresa. Alla porta tagliafuoco che conduce alle scale è stato smontato il maniglione antipanico, la porta è chiusa. Cerco altrove e trovo una rampa di scale che però termina anche qui contro una porta di sicurezza priva del maniglione. Attraverso il piccolo vetro vedo dall’altra parte la reception con la scala che prosegue nell’ingresso principale. No, non posso essere arrivato fino a qui, con tutta la fatica fatta per entrare, per arrendermi a un passo dal traguardo! Inizio, con l’ausilio della torcia, a studiare quel che rimane del meccanismo di chiusura. Penso al movimento che fa il maniglione, va vero il basso, quindi spinge qualcosa verso l’altro facendo leva sul suo fulcro. Trovo infatti un chiavistello che presenta una piccola tacca rettangolare. Estraggo il mio fido coltellino svizzero, infilo la punta del cacciavite nella tacca, spingo verso l’alto finché… TLAC! la porta si apre! Prendo una provvidenziale asse di legno che giace a terra e la incastro in modo che la porta non si richiuda, non si sa mai. Eccomi davanti alla rampa di scale che conduce all’ingresso principale sul lato frontale dell’edificio. Alla mia sinistra un bancone da reception abbastanza moderno, sicuramente non risalente all’epoca di costruzione dello stabile. Le pareti della scala sono tutte rivestite in marmo, ma lo stile è semplice, non c’è sfarzo, salvo la colonnina cilindrica di marmo verde con cui inizia il corrimano. Sul muro dell’ingresso vedo un grande riquadro che una volta doveva ospitare una targa commemorativa o il logo dell’azienda, chissà. Sto per dirigermi verso il portone principale quando vedo a terra dei fili neri volanti che attraversano tutto il corridoio. Un filo sale verso il muro dove, attaccata in qualche modo, qualcuno ha piazzato una telecamera moderna. Da sotto vedo che i LED infrarosso che circondano l’obiettivo sono accesi, quindi la telecamera è alimentata e collegata! Decido di lasciare quindi il piano terra per ultimo, in modo da eventualmente fuggire solo dopo aver visitato il resto. Salgo la scala fino al secondo e ultimo piano. Sui pianerottoli, delle vetrate rettangolari lasciano entrare molta luce, rendendo la scala molto luminosa anche ora che è sporca.

L’arrivo della scala divide i piani dell’edificio circa a metà, quindi mi accingo ad esplorare la prima parte del piano. Un corridoio principale conduce agli ingressi di tutti gli uffici. Purtroppo l’edificio essendo rimasto in uso fino a 11-12 anni fa, ha subito in questa parte un pesante riammodernamento, rendendolo anonimo e uguale a tanti altri uffici; in alcuni locali si trovano addirittura delle pareti divisorie in cartongesso. Orrore. Il secondo piano è caratterizzato da un persistente odore di muffa; in molte stanze le infiltrazioni dal tetto hanno fatto crollare i controsoffitti e le pareti sono coperte di muffe e muschio verde. Al primo piano la situazione è identica, solo con meno infiltrazioni di acqua. C’è poco da fotografare, le stanze sono completamente vuote, salvo una fotocopiatrice, qualche poster pubblicitario alle pareti e un triste clown disegnato sul vetro di una finestra. Torno al pian terreno e cercando di non entrare nel campo visivo della telecamera imbocco la prima metà del corridoio. Trovo una stanza con appese al muro delle fotocopie di foto d’epoca della ditta e dei testi descrittivi. Alcuni volantini lasciati su un davanzale mi fanno capire che nel 2013 ci fu una mostra aperta al pubblico organizzata dal quartiere attiguo, per illustrare alla gente la storia dell’azienda. In questa stanza entra anche un filo volante che scorreva parallelo a quello della telecamera all’ingresso. Il filo sale verso la finestra e seguendolo vedo che c’è una seconda telecamera all’esterno che inquadra il retro dell’edificio… proprio dove ero passato prima! Penso che sarà passata almeno mezz’ora dal mio ingresso e che quindi, anche se la telecamera è accesa, nessuno sta guardando le immagini, oppure il segnale non va da nessuna parte. Altrimenti sarebbero già venuti a prendermi… Nella stanza attigua c’è un manichino femminile smontato, davanti a un grande pannello di legno. Immagino che per la mostra l’abbiano vestito con i capi prodotti mediante i filati dell’azienda. Decido di sedermi qui per fare una pausa e mangiare qualcosa, poi scatto qualche selfie idiota con il manichino.

Uscito dalla stanza della mostra vado in fondo al corridoio e trovo l’ambiente più bello dell’edificio: una sala con la parete semicircolare e finestre che danno sul giardino, termosifoni rivestiti in legno, sul soffitto un imponente lampadario di vetro/cristallo, credo originale dell’epoca di costruzione. Come si sia salvato alle barbarie della ristrutturazione e dei vandali va oltre la mia immaginazione. Anche se linoleum, controsoffitto con lampade neon e bocchette dell’aria condizionata stridono con il resto, questo ambiente riesce a far immaginare un po’ come doveva essere l’ambiente degli uffici della ditta: eleganza, razionalità, rigore, efficienza. Le caratteristiche che hanno portato il gruppo ad essere uno dei maggiori imperi industriali in Italia (e non solo) per diversi decenni. Scatto diverse foto, non posso correre il rischio di “ciccare” questo scatto raro ed iconico.

Esploro l’altra metà del piano terra, anche qui stanze vuote, spazi per targhe che non ci sono più, un armadio a muro vuoto anch’esso. Dall’esterno proviene la voce lontana di un megafono, immagino ci sia qualche manifestazione in corso; il sole si è alzato, la vita all’esterno è ricominciata e non mi sento tranquillo come prima, decido di uscire dall’edificio, dato che ho giocato fin troppo a fare Lupin III con le telecamere. Torno davanti all’ingresso principale per scattare delle foto esterne, poi torno nella piazza per procedere al check degli altri edifici saltati durante la precedente visita.

Le altre palazzine di uffici hanno tutte le porte chiuse e robuste sbarre alle finestre, quindi non c’è verso. Arrivato nella zona della produzione riesco ad entrare in un lungo edificio basso in mattoni rossi, che mi sembra essere una centrale elettrica. Sul pavimento ci sono le buche di ispezione dei macchinari, su due file, separate da colonne in cemento armato. I muri conservano ancora dei cartelli d’epoca, un appendiabiti, vecchie finestre a quadrotti. In fondo al capannone una grossa buca di cemento è diventata una vasca colma di acqua piovana, su cui galleggiano foglie secche e nella quale si specchia tutto il capannone fino al soffitto. Mi perdo un po’ per qualche minuto a scattare foto di questo inaspettato stagno, poi esco di nuovo sui viali interni.

Il capannone attiguo era la rimessa dei mezzi dei pompieri interni dello stabilimento. Le saracinesche sono abbassate; da uno spiraglio guardo dentro, non c’è alcun mezzo bensì cumuli di rifiuti vari. Mi accontento di fotografare la targa esterna con il simbolo dei pompieri in giallo su sfondo rosso (sbiadito). Sono vicino alla porzione dell’area ancora in uso e sento in lontananza delle voci e dei rumori di auto. Torno di gran lena sui miei passi e mi infilo nuovamente nel capannone per percorrere più strada possibile nascosto alla vista di possibili pattuglie di vigilanza.

Mi fermo di nuovo davanti all’edificio con l’orologio sulla facciata, mi piacerebbe salire ai piani superiori ma tutti gli accessi alle scale sono stati accuratamente bloccati: le porte in metallo sono state addirittura saldate. In effetti i piani superiori, quasi completamente privi delle solette, sarebbero davvero pericolosi da esplorare. Scatto altre foto agli edifici in mattoni mentre il sole si alza sempre di più. Torno alla piazza, ormai edifici esplorabili non ce ne sono più e non me la sento neppure di rischiare ulteriormente di farmi pizzicare da qualcuno. Decido quindi di proseguire con calma e scattare un po’ di foto esterne, che durante la visita precedente non ero riuscito a fare. Mi dedico alle fontane e alle due palazzine lato ferrovia, giocando e litigando con il sole sempre più alto e invadente.

Entro nella grande fontana; il fondo piastrellato è ampiamente dissestato e sono cresciuti degli arbusti nelle fenditure. Nella parte a gradoni, dove immagino si creassero delle graziose cascatelle, la poca acqua piovana è completamente ghiacciata. Esco dalla fontana e mi dirigo verso una rampa carrabile che scende verso una porta al di sotto di una delle palazzine, quasi come fosse un garage. Provo senza convinzione a tirare la maniglia e… la porta è aperta! Purtroppo non si tratta di un garage, ma solo del locale che contiene caldaia e impianti di climatizzazione. A terra ci sono parecchi filtri usati di condizionatori, niente di interessante. Mi avvio verso l’uscita, scattando ancora qualche foto ai campi da tennis e da bocce. Questa volta fotografo anche le tettoie del parcheggio, prima di uscire e lasciar defluire definitivamente l’adrenalina della mattinata.

Conclusioni

Se vogliamo giudicare il luogo di per sé, non appare proprio imperdibile, considerando anche i rischi da correre e le difficoltà incontrate. Quello che per me ha più inciso sulla scelta di volerlo esplorare è la STORIA di questo luogo. Uno dei luoghi chiave nella crescita dell’impero S.V., data la presenza del centro ricerche. Purtroppo l’essere stato in funzione fino a relativamente pochi anni fa ha fatto sì che gli interni delle palazzine uffici siano diventati molto diversi da come lo dovevano essere cinquant’anni fa, rendendoli piuttosto anonimi. Una cosa che mi ha stupito è stato il basso livello di vandalizzazione del luogo, probabilmente dovuto alla promiscuità dell’area con la zona ancora in uso; quindi un bene, alla fine.
Le cose più belle e particolari che ho trovato in questo luogo, secondo me sono:

  • La piazza con fontana e le due fontanelle;
  • Il grande orologio sulla facciata dell’impianto produttivo;
  • Il corridoio blu nell’edificio sheds;
  • Il cancello con fregi e ornamenti che divide la piazza dal reparto produttivo;
  • La sala con parete curva e lampadario e la scala del centro ricerche;
  • La sala dei trofei;
  • I campi da tennis.

Sarebbe stato bello riuscire ad entrare negli altri edifici e nell’archivio storico. Magari un domani si riuscirà, chissà?

Le foto qui presenti risalgono a Dicembre 2018, Gennaio 2019.