Manicomio V.
Maggio 2019.
Premessa
Sono passati ormai due anni e sedermi ora a tavolino per trascrivere i ricordi di quella giornata non sarà semplice. Avrei voluto scrivere prima questa pagina del sito ma la vita a volte ha in serbo sorprese e novità che si prendono la precedenza. Gli aspetti principali che mi vengono però subito alla mente sono che quest’esplorazione è stata veramente un’avventura ricca di emozioni e che contestualmente quel giorno ho finalmente conosciuto di persona LordFly, altro membro storico di Lost Italy.
Storia
Il manicomio abbandonato oggetto di questa esplorazione ha avuto una lunga storia, basti pensare che la sua costruzione risale agli anni settanta del diciannovesimo secolo. Fu costruito seguendo un progetto innovativo per l’epoca, ad esempio senza avere padiglioni indipendenti e sparsi ma con corridoi coperti che collegano tutti i reparti, vicini ma ben separati tra loro. Anche gli aspetti tecnici legati alla gestione dell’acqua e della circolazione dell’aria furono studiati con grande attenzione per avere degli ambienti più sani a disposizione dei pazienti. Il manicomio ha operato per un secolo o poco più; attualmente ospita ancora l’ASL locale, fattore che ha aggiunto maggiore adrenalina all’incursione.
Esplorazione
Non so come mai questo manicomio non sia diventato di “moda” tra gli esploratori urbani italiani e stranieri nel corso degli anni come lo sono invece diventati altri istituti psichiatrici del Bel Paese. Strano, anche perché l’ingresso “non ufficiale” ormai consolidato doveva essere piuttosto agevole. Fatto sta che fortunatamente questo luogo non è stato preso d’assalto e dato in pasto alla massa, evitando per ora la devastazione che invece ha subito ad esempio l’Ospedale Psichiatrico G. A.. Comunque, l’agevole ingresso non è più disponibile, perciò ce ne siamo dovuti inventare un altro molto, molto meno agevole, diciamo che al confronto il precedente punto di accesso era una passeggiata di salute. Mi vien da dire meglio così, forse meno vandali, ladri ed idioti avranno accesso a questo luogo da salvaguardare.
Dopo il rocambolesco ingresso ci troviamo su una lunga balconata, iniziamo ad avanzare, con gli occhi che si riempiono di stupore a ogni passo. Sotto di noi, il pozzo coperto da un pergolato risalente all’antico convento, luogo di origine preesistente scelto per la costruzione del manicomio. Subito dietro, la chiesa, con il particolarissimo campanile. Di fronte alla chiesa i giardini, con ancora visibili le vecchie siepi disposte a forma di fiore, la fontana con le panchine. Splendidi alberi si sono innalzati negli anni fin quasi a raggiungere il tetto del manicomio. Due passerelle sostenute da colonne ed archi attraversano il chiostro, raggiungendo un corridoio uguale a quello su cui ci troviamo, dal lato opposto. La simmetria è un elemento caratterizzante di tutto il complesso, basta guardare la sua pianta per rendersene conto. L’accesso alle passerelle è stato bloccato da grandi pannelli di legno. Sappiamo che la parte più ricca di cose da vedere è quella a Sud, così decidiamo di andare subito in quella direzione. Il primo ostacolo sono quindi questi pannelli, che vanno aggirati. L’unica scelta è quella di sporgersi oltre la balaustra, appoggiare i piedi sullo stretto cornicione tenendosi con le mani alla mensola di granito del parapetto, raggiungere con un piede il cornicione della passerella afferrando la ringhiera metallica, per infine scavalcarla. Non è una cosa difficile ma bisogna comunque prestare attenzione dato che ci troviamo sospesi a circa cinque metri dal suolo sottostante. Lo stesso procedimento, all’inverso, va eseguito alla fine della passerella, per approdare al nuovo camminamento coperto. Questi corridoi sono bellissimi, con archi e pareti di una tinta giallo caldo, screziato in chiaro o in scuro dalle macchie di umidità o dalle zone scrostate. Da questo lato si ha una bella vista sul campanile con il suo orologio fermo, che fa capolino tra i rami delle conifere. In questo corridoio ci sono una panchina, una sedia a rotelle, un tecnigrafo; tutti oggetti che sono stati spostati dai visitatori che ci hanno preceduto. Le porte che si affacciano su questo corridoio sono quasi tutte chiuse e le finestre sono munite di robuste inferriate. Una porta è aperta e ci conduce nella stanza del laboratorio calzaturiero, uno degli ambienti più fotografati dagli esploratori del manicomio.
A ragion veduta, dato che c’è ancora il banco da calzolaio che i pazienti usavano per produrre/riparare le scarpe, qualche calzatura ancora in posizione, una mola, una bella lampada e un tavolo con ritagli di giornale e vecchie bottiglie. Ci soffermiamo per gli scatti di entrambi, poi, mentre il mio compagno LordFly si intrattiene con altre pose, esco di nuovo sul corridoio per gustarmi la tranquillità di quell’ambiente fuori dal tempo. Quand’ecco che sento un rumore di passi e un tintinnio di chiavi provenire dal basso. Qualcuno è senz’altro entrato da un cancello e sta accedendo all’edificio. Mi fiondo di nuovo nella stanza per avvertire LF, ci fermiamo in assoluto silenzio per captare altri rumori. Lasciamo trascorrere qualche minuto. Nulla. Dato che da questo lato e a questo livello non riusciamo ad avanzare oltre, decidiamo di tornare sui nostri passi per cercare altri percorsi.
La parte nord del manicomio appare essere in uno stato molto peggiore. Sembra quasi che sia stata effettuata un’operazione di demolizione, i muri sono stati quasi tutti scrostati fino al mattone, il tetto crollato in più punti, le solette bucate. Riusciamo a girare abbastanza liberamente, ma tutte le porte al piano terreno che conducono al chiostro sono sbarrate. Riusciamo ad accedere invece al cortile più a nord, su cui si affacciano le finestre della sezione tutt’ora in uso all’ASL. Ci muoviamo sempre in silenzio e con circospezione, strisciando tra l’erba alta (e bagnata) in cerca di un passaggio verso sud. Troviamo un accesso attraverso una finestra, ci ritroviamo in uno stanzone semi-vuoto. Il corridoio adiacente purtroppo ci permette di accedere solo ad un altro paio di stanze vuote e nulla più, porte e finestre sono tutte chiuse. Continuiamo a vagare per questa parte del manicomio, saliamo anche ai piani alti, è tutto assolutamente vuoto e in pessimo stato. Una scala è ridotta così male che da un buco tra i gradini vediamo il piano sottostante. Ci spingiamo a nord fino a dove ci è possibile, cioè quando il corridoio è completamente sbarrato da assi di legno e da una parete in forati, sbarramento che ci preclude l’accesso alla rotonda dei furiosi Nord.
Torniamo sui nostri passi, risaliamo al primo piano e scavalchiamo una paratia di legno che divide in due il corridoio dove siamo approdati inizialmente. Troviamo altre 3 piccole stanze con lavandino, in una c’è una rete di un letto appoggiata alla finestra. Nella stessa zona ci sono anche dei bagni e una doccia. Nel manicomio, questi bagni si affacciano su dei micro cortili, dove in basso ci sono sempre dei lucernari. La distanza tra la finestra del bagno e quella posta sul muro di fronte non supera i 2 metri; le finestre sono entrambe, ovviamente, munite di rete di sicurezza. Altre particolarità che ho riscontrato nei bagni di questo luogo sono: i muri di separazione tra i servizi igienici non superano il metro e sessanta centimetri in altezza, probabilmente per permettere agli infermieri/sorveglianti di poter vigilare i pazienti anche in quei frangenti; i termosifoni installati a quasi due metri di altezza, forse per impedire ai pazienti di raggiungerli? Considerando la grande altezza dei locali e le piccole dimensioni dei caloriferi, non penso che d’inverno questi bagni fossero particolarmente riscaldati.
Finito di esplorare questi ambienti, tiriamo le somme: siamo bloccati.
Dobbiamo mettere tutto il nostro impegno ed esperienza per riuscire a sbloccare la situazione, trovando finalmente un passaggio per la zona a sud. Ed eccoci così nei locali adibiti a scuola per infermieri. In una stanza ci sono un letto che offre riposo ad un manichino per le esercitazioni sanitarie (da noi battezzato Astolfo), numerosi strumenti e medicinali per la didattica. Ovviamente il manichino è stato posizionato così da qualche altro “esploratore” e non ci resta che fotografarlo e immortalarlo con qualche stupido selfie. Dalle fotografie trovate in rete dobbiamo constatare che in questo ambiente sono stati asportati parecchi oggetti, purtroppo. Comunque, la strada sembra ormai finalmente aperta di fronte a noi, vediamo l’accesso a rampe di scale, che salgono e che scendono e corridoi lunghissimi; ci buttiamo a capofitto a scoprire cos’ha in serbo per noi questa nuova sezione. Oltre agli uffici dell’amministrazione e altre stanze vuote, troviamo una sala dedicata alle lezioni teoriche, con una grande lavagna e palchetto stile aula universitaria.
Proseguendo ancora verso sud entriamo nel reparto di psichiatria infantile; le pareti si colorano di azzurro turchese, sulle quali sono stati appesi poster raffiguranti animali, personaggi dei cartoni animati e altre decorazioni per rendere questi ambienti il più accoglienti possibile per i bambini. Uno stanzone è vuoto, un altro ospita un Babbo Natale buttato a terra, un’altra stanza è piena di fotografie di cuccioli e decorazioni composte da stencil di gatti, fiori, farfalle e coniglietti. La stanza senz’altro più suggestiva è quella dove protagonista è una culla ospedaliera con ruote, posizionata strategicamente alla luce della finestra retrostante e davanti ad una parete dove le foto di un vecchio calendario si sono afflosciate verso il centro, ricordando delle farfalle posatesi sul muro. Esploriamo numerose altre stanze, per lo più vuote, con poster o quadretti realizzati a mano sulle pareti, tutte hanno ancora le tendine alle finestre, attraverso le quali la vegetazione esterna cerca con insistenza di trovare una via verso l’interno dell’edificio. Proseguendo nel reparto, ci imbattiamo in un altro soggetto pluri-immortalato del manicomio: la biciclettina da bambini in mezzo al corridoio verde. Anzi, le biciclettine sono diventate due. In compenso non ci sono più tracce del triciclo, che probabilmente qualcuno avrà rubato (complimenti vivissimi!). Oltre le biciclettine, uno stanzone con in fondo un seggiolone, un banco di scuola e un paio di scarpette da ginnastica in mezzo alla stanza. I maghi dei set fotografici si sono dati da fare anche qui. Un’altra stanza, con oblò di vetro nella porta ospita una specie di girello e un seggiolino contenitivo. Nella stanza attigua, in un angolo, c’è una specie di seggiolone ma senza seduta, piuttosto una specie di sellino imbottito, dove il bambino rimaneva in piedi o forse anche in ginocchio, probabilmente legato da cinghie. Nonostante le imbottiture colorate, rimane uno strumento angosciante. Non riesco ad immaginare lo strazio dei genitori costretti a portare i loro figli in questo luogo per curarli.
Proseguiamo la nostra visita esplorando altri corridoi e stanze. Alcune contengono dei letti, una stanza ospita una specie di casetta di legno costruita in modo molto grezzo, con un aeratore e un tubo per l’aria in entrata e un tubo in uscita con aspiratore per buttare l’aria fuori dalla vicina finestra; dentro questa casetta, sul pavimento, sembra esserci della lana. Forse veniva usata per asciugare l’imbottitura dei materassi o qualche cosa del genere. Ci sono stanze con divani, tavoli, blocchetti con appunti per le forniture di guanciali e materassi, datati 1998. Saliamo al secondo piano, salendo una scala fornita di un’alta griglia di protezione per evitare che qualche paziente si potesse gettare nel vuoto. Ci fermiamo proprio sulla scala per mangiare e riposarci un po’. Il silenzio è rotto solo dal canto degli uccelli e dai piccoli rumori caratteristici dei luoghi abbandonati, causati dal vento. Al secondo piano ci sono le grandi camerate dove vivevano i pazienti. Non ci sono letti, per capire quante persone venivano alloggiate qui, ma da documenti che ho successivamente letto, in queste stanze vivevano decine e decine di pazienti, lasciati tutto il tempo a girare in tondo intorno ad un tavolo. Ovviamente le porte hanno l’oblò per effettuare la sorveglianza dal corridoio.
Scendiamo nuovamente al piano terra e decidiamo di andare a esplorare e fotografare le celle di contenimento, per sfruttare la bella luce del primo pomeriggio. Questa è la parte più famosa del manicomio, la Rotonda dei Furiosi. Un corridoio semicircolare sul cui lato più esterno ci sono le celle destinate ai pazienti più esagitati, che rischiano di fare male a sé stessi e agli altri. L’intonaco bianco si è staccato in numerosi punti dalle pareti e dal soffitto del corridoio, rivelando un colore rosso carminio che si unisce al verde delle muffe per formare degli incredibili affreschi variopinti. In un punto particolarmente degradato del soffitto spuntano le radici di un albero cresciuto a ridosso della costruzione, che scendono lungo la parete in maniera inquietante. Da questo corridoio gli inservienti potevano sorvegliare agevolmente tutti i pazienti rinchiusi nelle loro celle; le porte delle celle hanno delle feritoie chiudibili (solo dall’esterno) per potervi guardare attraverso e per far circolare l’aria. Ogni cella presenta pareti curve, senza alcun angolo o spigolo. Le stanze sono completamente vuote, c’è solo uno scarico per l’acqua al centro del pavimento. Sull’altissimo soffitto è ancora possibile vedere le luci notturne, ossia delle lampadine blu (incredibili superstiti). Sulla parete esterna ogni cella ha una portafinestra, attualmente chiusa, ma che un tempo conduceva a un microcortile personale recintato da muri molto alti. Giusto il minimo indispensabile per far prendere un po’ d’aria ai pazienti e non fargli dimenticare il colore del cielo.
I corridoi a pian terreno adiacenti questa zona sono ricchi di lettini, sedie a rotelle e stanze ancora arredate, dove sono stati depositati anche macchinari medici. Continuiamo a esplorare un’altra ala del manicomio, trovando bagni, stanze con letti, infermerie, grandi stanzoni con arredi ammassati, una TV, apparecchi medicali. In una stanza troviamo dei registri medici risalenti agli anni settanta e le immancabili pigne di raccoglitori pieni di documenti personali. Ci sono anche una macchina da scrivere e un apparecchio per l’encefalogramma con ancora il foglio di carta con le linee dei segnali stampate.
Decidiamo di raggiungere la costruzione alta all’interno di uno dei cortili, una delle due torrette, che vediamo dalle finestre dei corridoi, ma per farlo dobbiamo appunto uscire nel cortile; questo però non è affatto semplice. Tutte le finestre hanno le inferriate e le porte sono state sprangate, avvitate. Dopo parecchi giri in cerca di un’uscita, riusciamo a trovare una finestra di un bagno che ha l’inferriata staccata dal muro nella parte inferiore. Quindi con fatica riusciamo a calarci fuori dalla finestra per atterrare in un cortile invaso dalla vegetazione. Riusciamo a farci largo fino a raggiungere la torretta ma qui constatiamo purtroppo che tutti gli ingressi sono stati bloccati. Decidiamo quindi di camminare verso nord tra i cortili per vedere se riusciamo a raggiungere il chiostro della chiesa. Attraversiamo degli alti cancelli e ci imbattiamo in un muro dove presumibilmente dei pazienti hanno inciso delle scritte come “muro del pianto”, “muro della morte”, “Cristo è risorto” e disegnato delle note musicali. Avanziamo fino ad arrivare ai locali della mensa e delle cucine, zeppi di sedie, carrozzine oltre che agli arredi originali. Le porte della cucina si affacciano sul chiostro ma è stato tutto sprangato, non riusciamo ad accedervi. Non ci resta che tornare mestamente sui nostri passi, tra l’altro non essendoci altre possibilità, siamo costretti a scalare nuovamente la finestra da cui siamo usciti per poter rientrare all’interno della struttura.
Questo è uno solo degli esempi che ci hanno fatti sentire proprio all’interno di un labirinto; a volte trovavamo una porta aperta che conduceva ad una scala, che però magari aveva la porta del piano superiore o inferiore chiusa. Quindi per raggiungere l’altro piano bisognava tornare indietro, percorrere tutto il corridoio sottostante o soprastante per trovare un’altra scala che avesse la porta aperta; scala che magari invece aveva la situazione porte invertita. A volte abbiamo trovato delle stanze chiuse ma raggiungibili solo entrando da una finestra. Insomma, un’esplorazione che ha richiesto un grande senso dell’orientamento e buone gambe. Tutto questo accompagnato da un’atmosfera opprimente e la sensazione di essere realmente imprigionati. In più, ad un certo punto siamo ritornati in un corridoio dove eravamo stati un paio di ore prima più o meno e vi abbiamo trovato le luci al neon accese. Già in altri punti avevamo notato delle luci di emergenza con la spia accesa, segno che anche nella parte abbandonata c’era ancora la corrente elettrica, ma non ci capacitavamo di come mai quelle luci si fossero accese. Forse un timer impostato con l’orario invernale, oppure qualcuno nel frattempo è entrato ed è uscito lasciando le luci accese. Mistero.
Conclusioni
Bellissima esperienza ed avventura, che sono stato felice di aver condiviso con LordFly. È stata una delle migliori esplorazioni di sempre, altissimi tassi di adrenalina, moltissime emozioni diverse provate durante tutta la visita. Un luogo impegnativo, sia per quello che riguarda gli sforzi necessari per poterlo visitare, sia per le sensazioni a volte claustrofobiche che trasmette. Spero che rimanga il più possibile salvo dalle devastazioni e da ulteriori saccheggi.
Le foto qui presenti risalgono a Maggio 2019.