Ospedale Psichiatrico G. C.

Aprile 2022.

Premessa

Già le premesse di questa esplorazione la rendevano un’esperienza piuttosto particolare. Innanzitutto era la prima volta che rimanevo fuori casa una notte per dedicarmi all’esplorazione urbana un intero weekend; secondo, avrei condiviso questa avventura con Lord Fly, che mi accompagnò quasi tre anni prima nell’esplorazione di un altro ospedale psichiatrico; terzo, questo luogo era piuttosto famoso nell’ambiente dieci e anche più anni fa, ma recentemente non se ne è più sentito parlare, o meglio, non si sono viste immagini più recenti. Sapevamo che il motivo poteva essere che questo luogo fosse sorvegliato ma non ne eravamo certi. Toccava a noi quindi scoprirlo.

Esplorazione

La sveglia puntata di buon’ora interrompe un sonno abbastanza agitato, quindi dopo aver fatto un’ottima colazione e lasciato l’albergo mi reco al punto di incontro dove avrei trovato Lord Fly. Dopo i saluti e gli abbracci partiamo verso la nostra destinazione, ossia il punto d’ingresso all’area abbandonata. Raggiungiamo una delle strade interne del manicomio e ci dirigiamo verso due padiglioni. Il primo si dimostra da subito essere ben chiuso. È doveroso far notare che questi edifici non presentano numerosi possibili ingressi ossia se non si trova una porta aperta, praticamente è impossibile trovare un’altra via per entrare; quasi tutte le finestre sono dotate di sbarre e quelle che non le hanno sono state sigillate con pannelli di legno dall’interno. Con il padiglione adiacente invece abbiamo più fortuna, riuscendo ad entrare dalla porta che troviamo solamente socchiusa; una volta dentro richiudiamo la porta e iniziamo a guardarci intorno e a fare i primi scatti.

Il Padiglione Uomini Semiagitati Tranquilli

Un corridoio unisce i due ingressi del padiglione posti agli estremi dell’edificio; sui lati ci sono porte che danno su grandi stanzoni. I soffitti scrostati e pieni di muffa sono bianchi mentre le pareti sono verniciate fino a circa due metri di altezza con il colore verde pallido tipico degli ospedali. In uno degli stanzoni troviamo delle scritte sui muri lasciate senza dubbio da uno dei pazienti qui ricoverati. Sono scritte fatte con una matita, su una parete si legge: “W-BENITO-MUSSOLINI-CAPO-DEL-GOVERNO” nella riga sottostante non si riesce a capire cosa c’è scritto perché la matita si è un po’ cancellata ma nella riga sotto ancora si legge “DOMENICA-1991”. Questa testimonianza è stata lasciata più di trent’anni fa probabilmente da uno degli ultimi pazienti di questo ospedale psichiatrico. Sul lato interno della porta di questo stanzone ci sono invece delle sfilze di numeri dall’1 al 5 e anche delle sequenze di numeri romani “IV” e “V”; probabilmente il paziente che le ha lasciate era in qualche modo ossessionato da questi numeri.

Fotografo l’interno di queste grandi stanze, il corridoio, poi lo attraverso per guardare un quadro elettrico piuttosto antico in un piccolo corridoio trasversale. Improvvisamente sento il rumore della porta di ingresso che si apre, seguito da quello di passi sul pavimento. Capisco immediatamente che qualcuno è entrato nel padiglione, quindi vado in fondo allo stretto corridoio che si rivela essere un vicolo cieco. Per fortuna riesco a girare un angolo e ad accucciarmi cercando di non essere visibile dal corridoio centrale. Quelli che seguono sono alcuni dei minuti più lunghi della mia vita: accucciato tengo il respiro, cercando di non fare il minimo rumore, sentendo dentro la testa il rumore del cuore che batteva forte. Non volevo essere beccato tanto più avendo appena iniziato l’esplorazione. Dopo qualche lunghissimo minuto prendo il telefono per mandare un messaggio a Lord Fly, per chiedergli dove fosse e se la situazione fosse libera… Fortunatamente mi ero ricordato di avergli detto di togliere la suoneria del telefono prima di entrare, quindi ero sicuro che mandargli un messaggio non avrebbe voluto dire farsi scoprire. Purtroppo però in quella zona non c’è quasi copertura dati, quindi mando un sms; dopo qualche altro minuto la risposta: “via libera, sono al primo piano”. Con grandissima cautela mi rialzo ed esco dal mio nascondiglio. Il corridoio è deserto e muovendomi con passo più che felpato raggiungo la scala e salgo al primo piano dove trovo Lord Fly. Fortunatamente lui era già salito al momento dell’ingresso della guardia (?) nel padiglione quindi non eravamo stati trovati, ma la domanda era questa: ci avranno visti da lontano o saranno entrati casualmente nel padiglione come giro di ronda abituale? Inoltre, come mai questo padiglione aveva la porta aperta mentre quello di fianco ce l’aveva sprangata? Rimaniamo con questa domanda. Assicuratoci che la situazione fosse tornata tranquilla, ricominciamo la nostra esplorazione scattando foto al primo piano. Anche qui ci sono grandi stanzoni con pareti e soffitti scrostati ma in più qui troviamo dei letti senza materassi e in una stanza addirittura un comodino con una delle classiche bottigliette di acquasanta a forma di madonnina, un pappagallo e un paio di sandali da infermiere disposti in una specie di set fotografico che però non sappiamo da quanto tempo è stato confezionato.

Alcuni stanzoni hanno delle pareti divisorie che però non arrivano fino al soffitto, per creare delle mini stanzette ognuna col suo lettino. Tutte le porte hanno un’apertura a forma di rombo attraverso il quale gli infermieri potevano vigilare sui degenti. Le infiltrazioni d’acqua dal tetto hanno causato la caduta dell’intonaco da gran parte dei soffitti e anche i muri sono ridotti allo stesso modo. Troviamo anche un bagno dove anche i servizi igienici hanno una porta tipo saloon alta circa solo un metro perché gli infermieri dovevano poter vedere i degenti in qualsiasi momento, anche quando erano al bagno. Nella stessa stanza ci sono anche due orinatoi a muro e un lavandino. In questi stanzoni ci sono anche sei o sette letti e le finestre hanno le sbarre pur essendo al primo piano; l’illuminazione era garantita da sole due lampadine per un ambiente decisamente grande. Saliamo la scala verso l’ultimo piano. La ringhiera ha un bel disegno con riccioli in alto e in basso e una volta, prima di arrugginire doveva essere bianca. All’ultimo piano dovevano esserci i locali per gli infermieri, infatti qui troviamo degli armadietti da spogliatoio, molti attaccapanni, servizi igienici “normali” ed è probabilmente qui dove si cambiavano prima e dopo i loro turni. Scendiamo nuovamente tutte le scale per tornare al pianterreno; ora possiamo completare anche questa parte del padiglione visto che il pericolo è scampato. Troviamo una grande stanza da bagno dove ci sono una vasca, delle docce e un lavandino a poche decine di centimetri da terra, forse usato per lavarsi i piedi. Tutto è nella stessa stanza, in pochi metri quadri. In un altro stanzone ci sono dei grandi poster ancora attaccati ai muri, delle foto ormai scolorite a semplici tonalità d’azzurro raffiguranti della frutta o delle spiagge tropicali; forse questo era un locale di aggregazione dove venivano svolte delle attività in comune.

Confinante con questo stanzone c’è una piccola cucina con un bel lavandino in marmo. Le sorprese non sono finite: in un altro bagno, uguale a quello del piano superiore, misteriosamente trovo un libro della Philips sulle trasmissioni satellitari: perché?  Giungiamo in una piccola stanza dove nella confusione spiccano un lettino e un macchinario per sviluppare le lastre ai raggi-X; sul pavimento giacciono infatti numerose cartellette di carta contenenti ancora delle lastre al torace eseguite ai pazienti. I muri sono coperti di muffa e sopra la porta è appeso un crocifisso attorno al quale è stato avvolto un festone natalizio dorato, che visto dalla distanza sembra una muffa cresciuta attorno alla croce.

Troviamo anche una sedia a rotelle e parecchi scatoloni semi distrutti che probabilmente contenevano i documenti ora sparsi sul pavimento della stanza. Abbiamo terminato l’esplorazione del padiglione, dobbiamo uscire con estrema cautela per raggiungere il successivo.

Il Padiglione Donne Agitate Semiagitate (Rosso)

Decidiamo di andare verso il padiglione rosso, che si trova più in basso lungo il pendio e per raggiungerlo decidiamo di non seguire la strada principale ma di percorrere un passaggio ormai completamente invaso dalla vegetazione. Questo era una volta un passaggio pedonale, scendiamo infatti su quello che rimane di una scala che scende in mezzo ad alberi caduti e piante cresciute a dismisura. Seguiamo anche un sentiero che ci sembra essere la traccia di qualche cinghiale, finché non riusciamo ad arrivare alla nostra meta. Ci caliamo da un terrapieno e arriviamo nello spiazzo antistante il padiglione rosso. In questo ospedale psichiatrico ogni padiglione aveva anche la propria recinzione esterna con porte e cancelli. Notiamo che ci sono delle cataste di legna tagliata anche piuttosto recentemente, quindi questa zona viene frequentata da qualcuno. Procediamo con la massima cautela, iniziando a girare intorno al padiglione. Questo edificio è molto diverso dagli altri, innanzitutto per il colore, un rosso che con gli anni e le intemperie ha assunto una tonalità in alcuni punti rosa carminio. Due lati a pianterreno sono completamente finestrati, qui non ci sono sbarre alle finestre, infatti come vedremo dopo si tratta di una sorta di solarium. Riusciamo a trovare una porta spalancata ed entriamo.

A pianterreno ci imbattiamo subito in una stanza che una volta forse era un ufficio, infatti ci sono ancora una pianta ornamentale secca, diversi documenti scritti con la macchina da scrivere e un armadio ormai a riverso a terra. Nella stanza di fronte c’è un tombino aperto in mezzo al pavimento sotto il quale si celava un pozzo, dove ovviamente ci guardiamo bene dal calarci dentro, anche perché notiamo che il pavimento presenta dei paurosi avvallamenti e crepe. Come prima cosa decidiamo di salire le scale fino all’ultimo piano per poi continuare l’esplorazione scendendo man mano. Al terzo piano troviamo un grande terrazzo sul tetto e altri locali probabilmente in uso agli infermieri, infatti troviamo delle dispense, un tavolo di marmo bianco con bottiglie, sedie e diversi armadietti. Sul soffitto ci sono dei lampadari di metallo bianco che ormai penzolano a diverse altezze dal suolo, dato che i cavi si sono progressivamente staccati dal plafone; alcuni sono arrivati a terra, altri ciondolano a un metro di altezza e alcuni anche più in basso.

Scendiamo di un piano e troviamo dei bagni con delle finestre aventi una apertura molto particolare: praticamente la parte centrale di questi finestroni si apre ruotando lungo l’asse verticale in modo che non ci sia abbastanza spazio né a destra né a sinistra per potersi gettare fuori. Questi finestroni comunque garantivano un grande ingresso di luce e all’occorrenza di aria. Dietro ad una porta troviamo una doccia con ancora il suo tubetto di gomma originale.

Scendiamo fino a pianterreno. Qualche porta è chiusa e non rimane che fare una foto tenendo la macchina fotografica in mano infilando il braccio attraverso le feritoie per l’ispezione degli infermieri. Entriamo in un grande stanzone-camerata dove ci sono dieci e più letti tutti senza materasso. Qui le finestre hanno le sbarre, attraverso le quali una pianta rampicante sta entrando nell’edificio.  Proseguendo lungo il corridoio ci sono altre stanze meno grandi contenenti dei lettini, alcune in pratica sono più delle celle: una di queste è particolarmente impressionante, grande poco più del letto che contiene, con un soffitto altissimo. È pazzesco pensare che una persona potesse vivere in uno spazio così angusto per così tanto tempo. In questa parte del padiglione l’atmosfera è davvero pesante e l’orecchio è sempre teso, pronto a captare i rumori provenienti dall’esterno. Il lungo corridoio del pian terreno ha soffitto e pareti molto scrostati e la luce del sole riflettendo su le pareti esterne proietta delle colorazioni rosa molto suggestive.

Troviamo altri bagni, in uno c’è uno stendino per i panni e una vasca da bagno con un piano per lavare la biancheria. In una stanza ci sono diversi blocchetti di carta compilati con preparazioni farmaceutiche e altri registri scritti a mano, ormai contorti per l’umidità. Questa stanza ha uno dei lampadari bianchi che essendosi staccato il filo per tutta la lunghezza del soffitto ormai ciondola a pochi centimetri dal pavimento, proprio davanti alla porta. Proseguiamo lungo il corridoio e troviamo altri bagni con tanti lavandini in fila, poi arriviamo al solarium, come anticipato. Praticamente si tratta di una specie di veranda a forma di “L” con due corridoi lunghi come i due lati esterni del padiglione. Grandi e alte finestre illuminano questo grande ambiente dove i degenti potevano passeggiare sia in estate che in inverno, dato che la stanza era riscaldata da molti termosifoni. In un angolo di questa veranda c’è anche un bagno “open space”, se così può chiamare, con un lavandino, dei servizi igienici con porte “a saloon” basse e una piccola vasca da bagno piena di foglie secche. Tutto illuminato da queste vetrate magnifiche con le piante rampicanti che entrano dai vetri mancanti o dalle ribalte in alto lasciate aperte, creando quasi l’illusione di essere in un orangerie. All’altro estremo del corridoio c’è lo scheletro di una panchina e dei tavoli gambe all’aria.

Le pareti esterne del padiglione che confinano con il solarium si sono separate quasi del tutto dalle colonne portanti in cemento armato, inclinandosi verso l’interno. Questo padiglione ha i giorni contati e crollerà prima o poi su sé stesso. Con cautela rientriamo nell’edificio vero e proprio. Troviamo una stanza con degli armadi contenenti ancora flaconi in vetro di acqua ossigenata, soluzione salina, glucosio, eccetera. In un altro locale c’è uno scaffale basso ormai completamente collassato pieno di pantofole dei degenti, scope, pappagalli… un’immagine davvero triste. A terra c’è un quotidiano del 1992 con in prima pagina la notizia della separazione tra Carlo e Diana. L’esplorazione del padiglione prosegue, con due grandi saloni dove anche qui probabilmente i degenti stavano tutti insieme. In uno c’è una cornice che doveva contenere un grande poster attaccato alla parete e nell’altro c’è ancora il mobile TV dotato anch’esso di antine in legno, dato che normalmente doveva rimanere chiuso e protetto.

Questo è un breve video dedicato a questo emozionante padiglione:

Infine usciamo da questo incredibile padiglione e ci avviciniamo a quello che è proprio di fianco.

Questo era il padiglione riservato ai pazienti agitati, infatti dall’esterno si nota che da questo posto era molto molto difficile se non impossibile uscire in maniera autonoma. Su un lato del padiglione ci sono due piccole verande completamente vetrate racchiuse in mezzo alla rientranza della facciata. Queste verande di vetro hanno un’intelaiatura di ferro (sbarre) e sopra il soffitto anch’esso vetrato ci sono delle reti metalliche poste ad evitare la rottura delle lastre dovuta a oggetti scagliati dalle finestre più in alto. Giriamo diverse volte intorno al padiglione ma tutti gli accessi sono blindati e ovviamente essendo quasi una prigione è praticamente impossibile entrare. A malincuore ci allontaniamo ma presumiamo che all’interno ci avrebbe riservato tante sorprese.

A pochi passi ci aspetta un altro edificio inaccessibile, ma questa volta forse è un bene forse che lo sia. Si tratta dell’alloggio delle suore, una palazzina piuttosto alta, dove il tetto ormai ha raggiunto il piano terra, portandosi con sé tutti i pavimenti sottostanti. Gli ingressi sono stati sigillati in maniera piuttosto efficace con delle griglie metalliche fissate al muro con i tasselli, ma non credo che qualcuno armato di buon senso ci sarebbe comunque entrato. Evitiamo anche di avvicinarci e proseguiamo lungo la strada fino ad arrivare ad un’altra costruzione bassa, quello che una volta era la Materasseria-Garage.

La Materasseria-Garage

Si tratta proprio di una rimessa, piena di materiali vari accumulati nel manicomio. L’attenzione viene catturata da un vecchissimo monitor Philips con tastiera, forse derivanti da un personal computer anni ’80 o da qualche apparecchiatura medica. Nello stanzone ci sono tavoli da lavoro, sanitari, un frigorifero, ruote e portiere d’auto (portellone e portiere di una vecchia Panda dell’U.S.L.) e altri materiali alla rinfusa. In un angolo c’è una rudimentale stufa con cappa che forse serviva a scaldare chi lavorava qui dentro.

La Lavanderia

L’edificio seguente che esploriamo è davvero grandissimo, si tratta della lavanderia. Entriamo attraverso un grande locale pieno di materiali vari, come prima, poi saliamo al primo piano dove l’ambiente sembra quasi industriale. Qui infatti i processi di lavoro viaggiavano su grandi numeri, tutto è progettato su larga scala. In un grande locale ci sono degli enormi armadi di legno, alti circa quattro metri, che contenevano quintali di vestiti. La maggior parte di questi sono ormai sul pavimento, assieme a scarpe, borse, costumi da bagno, ma anche riviste e confezioni di cibo e lattine. Si cammina su un tappeto di indumenti e oggetti di 40 e più anni fa, ognuno dei quali potrebbe raccontare una storia. Dal piccolo cavallino bianco di ceramica con due zampe spezzate alla testa di una bambola, dal costume da bagno a fiorelloni decisamente anni ’70 alla copertina di un Sorrisi e Canzoni TV con la foto di Marisa Laurito. La ciliegina sulla torta è una confezione ancora nuova di calze di Nylon “Lilion” della SNIA. Adoro quando ci sono i cross-over tra diversi luoghi abbandonati.

Decidiamo di fermarci per una pausa pranzo. Mangiamo sul grande terrazzo coperto, dove ancora ci sono lunghi cavi per stendere i panni ad asciugare. Qui siamo al riparo dalla vista ma al contempo godiamo di un ottimo panorama sulle montagne dalle cime ancora innevate. Proseguiamo l’esplorazione fotografando le macchine asciugatrici con le decine e decine di sportelli a scomparsa dove veniva messa la biancheria ad asciugare. Purtroppo le macchine lavatrici sono state smontate e non ci sono più.

Attraversiamo di nuovo il grande terrazzo per raggiungere l’ala opposta dell’edificio, che ospita dei locali adibiti a sartoria. Qui infatti giacciono diverse macchine da cucire, da stiro, carrelli per il trasporto degli indumenti, stracci, cenci e tanti, tanti bottoni. C’è anche un piccolo locale adibito a cucina, con delle dispense color latte-menta. Oltre alle scale da questo lato dell’edificio c’è anche un montacarichi per trasportare la biancheria tra i vari piani.

Scendiamo al pianterreno e qui in uno stanzone simmetrico all’altro, insieme a vari materiali depositati, giace una vecchia Citroen Visa color bronzo-oro. Per uscire dall’edificio siamo costretti a ripercorrere tutta la strada alla rovescia fino al punto d’ingresso. Prima di uscire salutiamo un triste peluche rosa impiccato ad un cavo elettrico.

Ci muoviamo con circospezione verso il centro dell’area ossia vicino alla zona ancora in uso. Passiamo davanti al pastificio, ma tutti gli accessi sono chiusi. In realtà da fuori ci sembra piuttosto vuoto e scarno, per cui andiamo oltre senza troppi rimpianti. Il nostro vero obbiettivo sarebbe la chiesa interna del manicomio. Strisciamo tra i cespugli fino ad avvicinarci al retro dell’edificio. Notiamo subito una grande telecamera puntata verso la porta d’ingresso, a sua volta sormontata dalla sirena dell’impianto di allarme. Decidiamo quindi di non tentare nemmeno l’avvicinamento, visto il livello di guardia del luogo, saremmo pizzicati subito. Giriamo comunque sull’altro lato dell’edificio dove troviamo addirittura un tubo dell’acqua usato per irrigare che esce proprio da una porta della chiesa, prova ulteriore che viene regolarmente frequentata.

Il Padiglione Bambini e Bambine Frenastenici

Decidiamo quindi di puntare un altro padiglione, quello dei bambini frenastenici; chissà quali meraviglie avrebbe custodito! Il problema però è che si trovava dall’altra parte del viale principale del manicomio, molto rischioso da percorrere. Con l’aiuto della mappa cerchiamo una via alternativa che ci consentisse di avvicinarci il più possibile in maniera nascosta per poi attraversare il viale relativamente lontani dalla zona presidiata. Sbuchiamo così da una siepe, attraversiamo il viale e un prato di corsa per poi scavalcare la recinzione divelta del padiglione. Ci portiamo sul retro dove cerchiamo e troviamo un ingresso per niente semplice. Mentre stiamo per entrare sentiamo il tipico rumore di ruote d’auto sui sassolini. Non capiamo però se l’auto fosse sul davanti dell’edificio o più in alto sul pendio alle nostre spalle. Ci nascondiamo quindi in una piccola cappella religiosa ricavata in una specie di grotta nella roccia del terrapieno dietro all’edificio. Aspettiamo in silenzio qualche minuto, senza sentire più alcun rumore. Decidiamo quindi di uscire dal nascondiglio e di procedere all’ingresso, per il quale ci aiutiamo con una sedia di plastica trovata proprio lì di fianco. Siamo dentro e saliamo subito all’ultimo dei 2 piani. Innanzitutto ci rendiamo conto con grande delusione che questo padiglione è stato ristrutturato e rimodernato, infatti fu usato fino agli anni 2000. Inoltre è stato completamente svuotato e secondo me anche depredato del rame dell’impianto elettrico dai ladri.

Ma la cosa peggiore è che sentiamo dei rumori arrivare palesemente dal cortile. Spiamo da una delle finestre e vediamo con orrore che la sedia di plastica non era più dove l’avevamo lasciata. Scendiamo di un piano e con estrema cautela ci affacciamo sulla terrazza-veranda rivolta sul fronte dell’edificio… c’è un’auto parcheggiata proprio di fronte al cancello del padiglione. Cerchiamo di muoverci senza fare alcun rumore, decidendo di continuare l’esplorazione in silenzio con la speranza che chi ci dava la caccia se ne sarebbe andato. Arriviamo alle finestre più vicine al cancello e spiamo tra le persiane. Di fianco all’auto c’è una persona che armeggia col telefono e un cane. Il pensiero era che se avesse chiamato le forze dell’ordine saremmo stati spacciati. Invece, dopo qualche minuto, sentiamo il motore accendersi e l’auto partire. Controlliamo dalla finestra e in effetti non c’era più nessuno. Temiamo però che possa essere un tranello ma rimanere nascosti a oltranza non è un’opzione percorribile: ormai era pomeriggio inoltrato e la tensione mi stava lacerando. Decidiamo di uscire dal padiglione e dal manicomio, studiando un piano di evasione, pianificando il percorso da fare ed eventuali piani “B” e “C” a seconda di ciò che sarebbe successo. Usciamo e controlliamo dietro agli angoli che la via fosse libera per poi correre rifacendo la strada dell’andata, infilarci nella vegetazione e poi tramite i sentieri nascosti raggiungere il punto da cui eravamo entrati. Una volta tornati sul suolo “civile” tiriamo un grande sospiro di sollievo e ammiriamo da lontano gli edifici di questo luogo incredibile illuminati dal sole sempre più basso.

Conclusioni

Sinceramente, se mi avessero detto che avrei passato una giornata braccato, costretto a nascondermi e a fuggire, forse non ci sarei mai entrato. Per fortuna è finita bene e le tante emozioni vissute rimarranno indimenticabili. A un anno di distanza, lo rifarei per certo. Un posto incredibile che ha ancora un grande potenziale fatto di padiglioni ancora da esplorare; chissà se in futuro la situazione cambierà…?!

Le foto qui presenti risalgono a Aprile 2022.