Cotonificio C.
Settembre 2016.
Premessa
Se pensate che dopo 5 anni e mezzo io mi ricordi bene questa esplorazione, beh… no, non è così.
Fu il giorno in cui esplorammo anche la Ditta I.F., subito dopo questo cotonificio. Mi ricordo l’emozione di quella mattina, sia per l’esplorazione sia perché avrei finalmente conosciuto di persona diversi membri di Lost Italy con cui avevo avuto solo contatti on-line. Il ritrovo non fu proprio di prima mattina ma gli altri arrivavano da molto lontano, viaggiando di notte. Dopo i saluti di rito, sale la concentrazione e la tensione per la ricerca del punto d’ingresso, non semplice e non esente da rischi, dovuti alla posizione urbana del luogo e dalle presenze che normalmente si aggirano nei pressi dell’ingresso del cotonificio.
Storia
Questo cotonificio faceva parte dell'”impero” di cotonifici più famoso degli ultimi due secoli; questo stabilimento, in particolare, era dedicato alla tintoria e alla stamperia dei tessuti. Un complesso di circa cento anni di vita, che è stato definitivamente chiuso agli inizi del XXI secolo.
Esplorazione
Ricordo che appena entrati ci siamo trovati in grandi, immensi capannoni vuoti, con i classici tetti a shed. Degli impianti produttivi non è rimasto quasi nulla, se non tubazioni rimaste penzolanti dal soffitto, tra i neon e gli orologi fermi. C’è qualche gabbiotto con pareti a vetri in cui si è salvata qualche scrivania con delle vecchie calcolatrici e macchine da scrivere anni ’70.



Una rampa di scale è stata completamente murata ma qualcuno ha già aperto un buco nel muro quindi saliamo per una larga scala dal corrimano rosso. Arriviamo ad alcuni piani che ospitano uffici. Qui fortunatamente sono rimasti molti più arredi e oggetti. Esploriamo stanze con scrivanie, archivi metallici completamente arrugginiti che custodiscono faldoni di documenti ingialliti. Ci sono sale riunioni, poltroncine e sedie anni ’70, tecnigrafi, lavagne, probabilmente la parte direttiva dello stabilimento. Qui c’è anche la stanza con la famosa (iper fotografata) combo lampada-scrivania-telefono-poltrona-pianta morta, sicuramente allestita da qualche fotografo esteta. In questo edificio troviamo anche gli uffici CED, un vero museo dell’informatica, con apparecchiature degli anni’70 come le unità di memoria a nastro, dei veri e propri armadi con grosse bobine di nastri magnetici. E poi video terminali accatastati insieme a grandi stampanti ad aghi, tastiere. Tutta attrezzatura che all’epoca doveva essere all’avanguardia e che ora non è altro che un ammasso di spazzatura.



Salendo i piani arriviamo a dei laboratori con manichini, collages realizzati con vari tipi di tessuti colorati, appendiabiti pieni di giacche e ancora cumuli di attrezzatture informatiche probabilmente raccolti dal resto dello stabilimento.
Torniamo al livello del suolo, continuando per i grandi capannoni. Qui troviamo altri manichini, probabilmente piazzati da altri fotografi, che si prestano sicuramente a delle immagini suggestive di questi enormi spazi vuoti. C’è anche lo scheletro di un furgone Mercedes, portato qui dai ladri che lo hanno completamente smontato per vendere i ricambi. Per fortuna siamo un gruppo abbastanza nutrito e mi sento abbastanza tranquillo, nonostante tutto.


Saliamo in un altro edificio, il posto è davvero enorme, dall’alto sembra una piccola città all’interno della città.
Qui troviamo enormi stanzoni con bobine di tessuti, grandi vetrate, lampadari a sfera di vetro opalino, carrelli di legno per il trasporto dei materiali tra i vari reparti. Ci sono degli scaffali pieni di campioni di tessuti decorati, rotoli di lucidi con stampate le fantasie e laboratori con solventi, colori; c’è una bella atmosfera, sembra strano che dopo così tanti anni di abbandono ci siano ancora tutte queste cose. Su una colonna c’è ancora appeso un calendario fermo a Ottobre 1983; negli schedari dei fogli di lavorazioni datati 1974.



Continuiamo a percorrere i lunghi stanzoni scendiamo a piano terra e troviamo l’orologio per le timbrature dei lavoratori con il porta cartellini. Attraversiamo un viale ed esploriamo un altro piccolo edificio che ricordo essere piuttosto vuoto ma che aveva all’interno una grande scala a chiocciola in metallo con una ringhiera realizzata con un materiale difficile da identificare… cemento? Gesso? Insomma, una soluzione strana e particolare. Decidiamo di raggiungere il lato opposto dello stabilimento per visitare i capannoni che ospitano le numerose, giganti caldaie che fornivano energia e calore ai reparti. All’esterno c’è ancora una torre piezometrica in cemento armato, landmark della fabbrica, anche dall’esterno. Grandi caldaie Breda, tubi, valvole, catene, il genere di tripudio metallico e rugginoso che ci piace tanto.



Scattiamo numerose foto ai termometri, alle strumentazioni superstiti, alle ciminiere, quindi ci incamminiamo verso gli ultimi capannoni sul fondo dell’area industriale. Sono capannoni in legno con tetti in tegole – con molti buchi infatti – dove sono stati abbandonati materiali espositivi per fiere, negozi, forse sfilate di moda. Un grosso pannello riporta la scritta “autunno/inverno 1997-1998”, forse una delle ultime collezioni prima della chiusura definitiva.

Conclusioni
Purtroppo sono passati diversi anni e il racconto dell’esplorazione è piuttosto approssimativo. Di sicuro era un posto notevole, grande, grandissimo e ricco di tante diverse suggestioni. È stata una bella esplorazione, forse questo cotonificio ne avrebbe meritata anche una seconda. Ormai è impossibile, il complesso è in fase di demolizione, come al solito per far posto a supermercati e a palazzine, pare non siano mai abbastanza.
Le foto qui presenti risalgono a Settembre 2016.