Cotonificio H.

Marzo 2022.

Premessa

Questo è uno di quei luoghi grandi, grandissimi e molto molto sottovalutati nell’ambiente Urbex, sia italiano che estero. Infatti di foto di questo luogo in giro non ne avevo mai viste, se non quelle del mio compagno di esplorazioni MD, il quale c’era già stato circa 2 anni prima. Siccome la sua visita non era stata completa e io volevo assolutamente esplorarlo prima che fosse troppo tardi, siamo partiti all’avventura in un grigio sabato di marzo.

Storia

Questo grande cotonificio nasce addirittura alla fine del XIX secolo, dando lavoro a migliaia di persone nel corso degli anni fino al declino e alla chiusura nei primi anni duemila. Al suo interno ci sono un convitto per le operaie e anche una piccola chiesa. La sua posizione fa gola a molti e contemporaneamente una così grande area abbandonata a ridosso del centro abitato fanno sì che l’area presto verrà riqualificata. All’epoca dell’esplorazione era già stata eseguita in parte la bonifica dell’amianto e la demolizione è partita da parte dei soliti vandali bimbiminkia.

Esplorazione

Arrivati ai confini del cotonificio, ci rendiamo conto che uno dei capannoni è stato già oggetto di bonifica dell’amianto, con la rimozione di tutte le coperture esterne. Vediamo anche segni di mezzi passati da un cancello, uniti ad adesivi di un’azienda di sorveglianza privata. Decisamente brutte premesse, non sapevamo che situazione avremmo trovato all’interno.
Dopo un ingresso abbastanza atletico (poi risultato superfluo, come vedremo), ci addentriamo verso il centro dell’area, non senza passare proprio sotto ad una telecamera nuova di zecca che inquadra l’ingresso, ben sigillato e probabilmente allarmato, della tutt’ora funzionante centrale idroelettrica. Infatti, così come nel Cotonificio C.-P.N., anche qui c’è un corso d’acqua artificiale che attraversa lo stabilimento.

Ci infiliamo dentro uno dei grandi capannoni della produzione, ormai vuoti e dalle pareti pasticciate con graffiti piuttosto freschi. Dato che MD durante la sua prima esplorazione non aveva visitato la grande villa sede della direzione, decidiamo di iniziare proprio da quella. Il viale carrabile principale è un po’ esposto rispetto alla strada antistante, così riusciamo ad avvicinarci alla villa passando all’interno dei capannoni e poi sgattaiolando nella vegetazione ormai cresciuta selvaggiamente sul piazzale, fino ad arrivare al portoncino d’ingresso. Provo a spingere la porta, con poca convinzione… aperta! Una scala si presenta subito alla nostra destra e un lungo e buio corridoio di fronte. Decidiamo di salire fino al sottotetto per poi scendere un piano alla volta. L’ultimo piano è stato usato come magazzino per i faldoni di documenti. Troviamo una macchina da scrivere Olivetti Linea 98, ancora perfettamente funzionante e uno scaffale che conserva dei nastri magnetici usati come backup di un vetusto sistema informatico. Sull’etichetta di alcuni di questi nastri c’è scritto, dopo il nome dello sconosciuto applicativo, “prima di crasch 23/06/92”; quindi era la copia di sicurezza conservata prima di un crash informatico avvenuto nell’estate 1992. Chi ha riposto qui quei nastri non pensava certo che un giorno, 30 anni dopo, qualche deficiente li avrebbe tirati tipo frisbee dalla vicina finestra, sul tetto del capannone sottostante. Complimenti, bimbiminkia.

Scendiamo al primo piano, dove troviamo degli uffici e una sala riunione. In uno di questi uffici il soffitto ha ceduto e un paio degli scaffali del sottotetto sono caduti di sotto. Nei locali ci sono ancora un sacco di documenti, raccoglitori, monitor, calcolatrici… ma il vero spettacolo si ha guardando in alto; il soffitto di tre grandi stanze, probabilmente usate come uffici dai più alti in grado, è ricoperto da affreschi stile Liberty. Il primo raffigura un ramo di un albero fiorito, con rondini, farfalle, piante, fiori e angioletti. Nella seconda stanza c’è una figura femminile che sembra danzare all’interno di un ovale incorniciato da fiori, a sua volta incorniciato da decorazioni con anfore e piante ai quattro angoli. Nella terza stanza abbiamo quello forse più bello: una donna avvolta in una veste azzurra, forse una dea, cammina nel cielo facendosi largo tra due nuvole; il disegno è incorniciato da diversi semicerchi, fiori su sfondi beige, marrone e verde scuro.

Fotografare questi affreschi è stata una vera impresa dato che il soffitto non era alto come quello che di solito si trova nelle ville storiche con affreschi di questo tipo, la luce era davvero poca grazie alle persiane chiuse e il pavimento era totalmente ingombro di scrivanie e arredi vari accatastati alla rinfusa. In fondo al corridoio c’è una porta a doppia anta con vetri acidati e decorati con disegni di donne alate in stile Liberty; la grande stanza alle sue spalle è quasi completamente buia ma riesco a scattare una foto in controluce che rivela tutta la bellezza di questi decori.
Le sorprese non erano finite. A pian terreno il lungo corridoio che unisce l’ingresso anteriore con quello posteriore da dove eravamo entrati noi ha una parete completamente formata da sportelli in legno e vetro. “Sportelli” intesi come quelli di una banca o di un ufficio postale, dove la feritoia per il passaggio dei documenti è stata chiusa da un pezzo di legno dipinto di bianco, così come è stato dipinto l’oblò attraverso il quale di solito si parla con la persona dall’altra parte del vetro.

Al di là di questa parete in legno e vetri ci sono ancora uffici, anche questi pieni di arredi, stampanti e raccoglitori. Ma la cosa più particolare è l’enorme cassaforte a due ante che vi troviamo. È come un grande armadio, con all’interno un’altra cassaforte più piccola, la quale presenta un’anta totalmente divelta e l’altra che sembra aver resistito a un tentativo di effrazione, infatti ci sono evidenti i segni della smerigliatrice angolare usata. Torniamo nel corridoio per scattare delle foto con l’aiuto di una luce artificiale quando ecco che sentiamo dei rumori provenienti dall’esterno, in direzione della porta da cui siamo entrati. La porta si apre ed entrano due uomini vestiti da operai, che si qualificano come addetti alla bonifica. Gli diciamo che stiamo solamente scattando delle foto del posto e che se non gli diamo fastidio intendiamo rimanere nell’area. Loro non fanno obiezioni ma ci dicono che tra circa mezz’ora sarebbero arrivati i titolari e che questi trovandoci all’interno sarebbero stati costretti a denunciarci alle autorità, consigliandoci così di uscire subito. Maledicendo la sfortuna, io e MD decidiamo così di uscire, ma non volevamo passare da dove eravamo entrati perché avremmo rischiato di trovarci di fronte altri operai che entravano. Quindi cerchiamo altri modi per uscire, ma tutti impossibili a causa delle foreste di rovi che ci sbarravano la strada. A quel punto decidiamo di rischiare, uscendo di gran lena dal punto in cui siamo entrati. Facciamo la strada a ritroso quando ad un certo punto, dietro all’angolo di un edificio, ci si ripresentano di fronte gli stessi due uomini di prima. Rivedendoci, ci fermano e ci confessano di aver mentito, che trovatici nella villa pensavano fossimo dei clandestini e quindi si sono inventati la storia della bonifica. Alla fine erano lì dentro a curiosare anche loro; così abbiamo sciolto la tensione e ci abbiamo chiacchierato una decina di minuti, in cui ci hanno anche indicato un punto di ingresso molto più agevole del nostro e che abbiamo poi usato per uscire!
Smaltita l’adrenalina, abbiamo potuto dedicarci all’esplorazione con calma, iniziando ad esplorare la sezione più vecchia del cotonificio, quella del convitto per le operaie.
A pian terreno troviamo l’infermeria, poi saliamo le traballanti scale fino al primo e al secondo piano, dove si susseguono grandi locali per lo più vuoti. Lo spettacolo più bello si ha guardando dalle finestre: da sotto agli edifici sbuca il canale artificiale e il convitto sembra un antico borgo della Normandia, con i balconi in legno, le finestrelle e il tetto ormai a onde.

Raggiungiamo l’ala opposta fino ad arrivare sopra alla chiesetta interna, un edificio con le finestre a punta tipo ogive. Si susseguono stanze molto grandi e vuote, arriviamo probabilmente nelle camerate dove una volta c’erano i letti delle operaie. Grandi stanze con pareti divisorie in legno, a terra ancora dei materassi, dei grossi cassoni in legno, qualche tavolo, sedie, sacchi di juta probabilmente pieni di stoffe o scarti di lavorazione. Terminata l’esplorazione del convitto torniamo al piano terreno per la visita alla chiesa vera e propria. Qui i vandali hanno superato loro stessi, devastando completamente tutto. Rispetto a due anni prima la situazione è catastrofica: il crocifisso e le statue sono sparite; l’altare, le targhe alle pareti distrutte; le panche ribaltate; i computer degli uffici attigui lanciati attraverso le vetrate colorate delle finestre; un “bel” graffito dietro l’altare e scritte varie sui muri. Faccio giusto 2 o 3 foto perché lo sdegno è tantissimo e lanciamo ogni tipo di maledizione verso gli autori di questo capolavoro, i loro antenati e i loro discendenti che speriamo non verranno mai alla luce.
Attraversiamo la strada interna e entriamo nella zona uffici, salendo una larga e luminosa scalinata rivestita in legno. Capiamo subito che i vandali si sono dati da fare anche qui. Al primo piano era stato ricavato un grande loft con uffici chiusi da vetrate e porte a vetri (distrutte, ovviamente); troviamo grandi quantità di campioni dei tessuti, dei fili, fotografie di sfilate di moda, un sacco di documenti e raccoglitori. Probabilmente uno degli ambienti rimasti in uso fino all’ultimo, la ristrutturazione è piuttosto recente, come si può intuire anche dai sanitari piuttosto moderni. Al di là di questo ambiente possiamo vedere dalle finestre delle parti di capannone con il tetto crollato e all’interno i resti delle travi carbonizzate, segni degli incendi dolosi che hanno colpito questo luogo negli ultimi anni. Ci fermiamo a mangiare e a riposare un po’ in questi uffici poi torniamo giù in strada in direzione sud con l’intento di esplorare i 2 capannoni più moderni al confine inferiore dello stabilimento.

Ci imbattiamo in un furgoncino Fiat Fiorino mezzo distrutto e vandalizzato, non sappiamo se portato qui dentro in seguito a furto o se fosse originariamente già del cotonificio. Arriviamo quindi a questi grandissimi capannoni che si rivelano però essere completamente vuoti e quasi totalmente bui; trattandosi di magazzini, non ci sono lucernari o finestre, per cui dobbiamo stare attenti e illuminare il suolo con le torce per non infilare i piedi in qualche tombino scoperto. Usciamo e torniamo a Nord, entrando nei capannoni della produzione. Immensi e purtroppo senza più alcun macchinario; sono rimaste solo delle scaffalature, delle sedie, il rimanente di alcuni tavoli da lavoro. In una grande stanza ci sono molti tubi di cartone attorno ai quali venivano avvolti i tessuti, etichette, targhette di vestiti. Qualcuno si è divertito a far passare dei fili di lana viola attorno alle colonne creando una specie di labirinto; i muri laterali sono particolarmente pasticciati. Attraversiamo l’area uscendo all’esterno dalla parte opposta, trovandoci ai piedi dell’alta ciminiera in mattoni rossi. Nel capannone di fianco infatti c’erano le caldaie per la produzione del vapore; ormai restano solo tutte le tubazioni accessorie. Il locale attiguo è interessante, sembra essere un’officina dove veniva svolta la manutenzione delle caldaie stesse. Troviamo tavoli da lavoro, pezzi di ricambio, lavandini e dei fusti contenenti sostanza chimiche per la depurazione delle acque. Ma c’è un rumore che attira la nostra curiosità, arriva dalle finestre del piccolo ufficio in fondo all’officina. Mi sporgo e vedo sotto di me il canale artificiale che gira intorno alla centrale elettrica, sovrastato da un ponticello pedonale in metallo. Una visione bellissima! Usciamo all’esterno e raggiungiamo il ponticello. Da qui vediamo che l’acqua si tuffa nel sotto suolo al di sotto del cotonificio, c’è anche un Super Tele che galleggia, chissà quanta strada ha fatto per arrivare qui… e dalla parte opposta, dietro l’angolo della centrale elettrica c’è una cascata a gradoni in cemento.

Sicuramente uno dei punti più affascinanti del Cotonificio e un momento emozionante poter immortalare un luogo così insolito e affascinante. La centrale elettrica ha un aspetto molto austero e sui muri esterni è possibile vedere chiaramente i segni dell’acqua, che può arrivare quasi al livello delle finestre più basse! Sicuramente deve essere uno spettacolo mozzafiato vedere questo canale in piena e gonfio d’acqua!

Finiamo di esplorare questa zona, in cui troviamo anche una faina morta e poi torniamo indietro a ritroso verso il viale principale per terminare l’esplorazione di quegli ambienti che ancora non abbiamo toccato.
Il primo è l’ufficio CED, dove sono sparse ovunque vecchie schede e pezzi di computer, toner di stampanti, scatole e cd di software e sistemi operativi. Anche gli uffici vicini sono stati messi a soqquadro, con faldoni, documenti, arredi sparsi ovunque, insieme a finestre rotte e oggetti lanciati ovunque. Scendiamo nel locale seminterrato che ospitava gli spogliatoi degli operai; gli armadietti non ci sono più ma a terra sono rimaste scarpe, borse, oggetti personali. Usciamo nuovamente nella strada principale ed entriamo in un piccolo magazzino dove a terra ci sono decine e decine di spolette colorate. Non rimangono che i piccoli edifici sul lato nord. Uno si rivela essere un’autorimessa; all’interno c’era una specie di officina per la manutenzione dei veicoli del cotonificio. Ci sono attrezzi e materiali per la manutenzione come candele, latte di olio motore ecc. In uno stanzone attiguo ci sono parecchi fusti di carburante o lubrificante, mi auguro vuoti. L’edificio di fianco doveva essere invece una stalla in tempi meno recenti, all’interno ci sono i recinti e i box per cavalli o asini.

Abbiamo esplorato quasi tutto, siamo parecchio stanchi così ci incamminiamo verso l’uscita indicataci dai due finti operai. In effetti l’uscita (e quindi l’ingresso) è di una comodità imbarazzante. Capiamo quindi meglio come mai i vandali abbiano avuto vita così facile.

Conclusioni

Un posto che mi è piaciuto molto, che se non fosse stato così devastato sarebbe stato sublime. Le cose che mi sono piaciute di più sono la parte vecchia, con il canale che scorre sotto, sembra di essere in un borgo medievale in Francia… e il retro della centrale elettrica con la cascata artificiale, il ponticello e il corso d’acqua che si infila sotto il cotonificio. Anche la villa/direzione è notevole anche se semibuia, con stupendi affreschi sui soffitti, vetrate acidate liberty, la cassaforte e il corridoio a piano terra con gli sportelli in legno e vetro. Un’altra giornata esplorativa piena di emozioni da ricordare.

Le foto qui presenti risalgono a Marzo 2022.